07. Io sono il pane vivo - Zona Pastorale Borgo Panigale e Lungo Reno | Arcidiocesi di Bologna

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07. Io sono il pane vivo

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Gv 6

41 Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo".
42 E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?".
43 Gesù rispose: "Non mormorate tra di voi.
44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre.
47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
 
 
48 Io sono il pane della vita.
49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
 
51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
 
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?".
 
 

Gesù stesso si esprime scegliendo d’usare un’immagine.
 
Parla di sé come di: “un pane vivo disceso dal cielo”, un pane che è: “la mia carne per la vita del mondo”. Che cosa intende dire ai suoi discepoli, a noi che ascoltiamo oggi queste sue parole, ci invita indirettamente a fare la comunione?
 
Cerchiamo di capire meglio seguendo i passi logici che l’evangelista ci propone.
 
L’incredulità dei Giudei, che offre lo spunto a Gesù di ribadire il suo annuncio sorprendente, era motivata dal controsenso che essi rilevavano tra l’affermazione di Gesù d’essere “disceso dal cielo” e la sua nota identità di figlio di Giuseppe, il carpentiere di Nazareth.
 

Prima di ribadire e ampliare la sua affermazione Gesù invita i suoi uditori a non contrastare e respingere quell’intima spinta ad ascoltarlo che nel profondo d’ogni coscienza il Padre suscita per il bene dei suoi figli.
 
Il Padre, in modo intimo e personale, sollecita ciascuno ad avvicinarsi a Gesù suo Figlio, perché è unicamente tramite lui che Dio ammaestra ogni uomo.
 
All’attrazione interiore e spirituale che il Padre suscita corrisponde l’ammaestramento, concreto, effettivo ed efficace, comunicatoci da Gesù che ora dice che la sua persona è: “il pane della vita”. Un “pane” che, Gesù precisa, ha un’efficacia superiore alla manna, non si limita a tenere in vita chi deve attraversare il deserto, ma chi lo mangia avrà “la vita eterna”.
 
Per prima cosa l’evangelista ci dice che è indispensabile cedere a quell’impulso interiore che il Padre provoca per indurre a credere nel Figlio; superare i ns. ragionamenti, la ns. logica, che non sono adatte a comprendere il mistero di Gesù, Verbo incarnato.
 

Fino all'ultimo respiro, Gesù ha fatto della sua esistenza un dono di salvezza e di misericordia, comunicando la sua forza vitale a quel pane che dona la vita eterna a chi se ne ciba con fede. Con la morte e la resurrezione dell'uomo Gesù la vita del Figlio non resta più solamente in Lui, ma diventa comunicabile ai suoi.
 
E' evidente che un "miracolo" così straordinario (il dono di Sé all'uomo da parte di Dio per elevare l'uomo stesso alla dimensione divina) non è assolutamente pensabile da mente umana, appare una ipotesi fuori da ogni logica, ma come abbiamo ascoltato, è quanto la duplice rivelazione (interiore ed esteriore) del Padre e del Figlio ci dicono nel brano del vangelo giovanneo. Avvicinati e credi a mio Figlio che è venuto per donarsi a voi, quel dono è un “pane” che conferisce la vita eterna.
 

Ha la massima importanza per comprende appieno il senso del pensiero di Giovanni il termine con cui egli designa il corpo di Gesù, lo definisce la sua “carne”.
 
Questa parola, a noi occidentali del terzo millennio portati alla sintesi, suggerisce la comprensione di un riferimento diretto alla concretezza del corpo di Gesù, un riferimento quindi al pane consacrato, all’ostia, comprendendolo come un cibo solido da mangiare.
 

Quel che sfugge a noi, che normalmente non siamo conoscitori del greco antico, è l’estensione del concetto espresso dal termine carne (sarx) nella lingua e nella filosofia greca e nel modo d’esprimersi di Paolo e di Giovanni.  
 
Per loro il significato di “carne” non si limita a riferirsi al corpo di una persona, ma a tutta la persona, la sua personalità, il suo vissuto, il suo esempio, la sua storia, la sua umanità.
 
Gesù va “mangiato”, e anche il verbo mangiare deve essere inteso in modo più ampio del normale e piuttosto nel senso di “assimilare”, non unicamente come ostia consacrata, ma come Parola, Sapienza, Verità, Giustizia, Luce, Grazia.
 
Avendo fede che è la Vita Eterna il nostro destino, la Santità la nostra perfezione, l’Amore il mezzo per ottenerla, la Divina Carità l’esempio da seguire.
 

Comprendendo che il solo uomo che ci può efficacemente aiutare in questa dinamica è Gesù nella sua realtà umana piena e concreta, che incontriamo in quanto ci dicono di lui i Vangeli e il N.T., nell’Eucaristia e in tutti i sacramenti che sono suo dono, nella fraternità vissuta da ciascuno di noi all’interno della Chiesa e nel mondo. Di tutto questo dobbiamo cibarci, ovvero far divenire la nostra realtà umana il più relativamente possibile simile alla sua.
 
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